Con quanta gioia torno a Pablo Neruda!
Ricordo la prima volta che lessi le sue poesie. Un'amica mi regalò i "Cento
sonetti d'amore". Ero giovane e non sapevo quasi nulla di Neruda, credevo
che fosse spagnolo o, al massimo, argentino. Da subito la poesia di Neruda mi investì
come un vento caldo e trascinante. Erano delle spire magiche che mi trasportavano in una
dimensione gioiosa e appassionante. Era cileno, nato nel 1904 - giusto cento anni fa - da
famiglia modesta. Precocissimo in tutto. Si chiamava in realtà Neftalí Ricardo Reyes
Basalto e lo chiamavano Pablo. Divenne "Neruda" quando, a sedici anni,
collaborando alla realizzazione di una rivista letteraria "Selva Austral",
scelse per sé come pseudonimo il cognome di un poeta cecoslovacco del secolo
diciannovesimo, Jan Neruda, poeta dei diseredati. A venti anni pubblica "Venti
poesie d'amore e una canzone disperata" che lo fanno conoscere all'intero
mondo letterario. Fino ai trentun anni, viaggia per varie nazioni con incarichi consolari
per il governo cileno, ma l'avvenimento che cambia la sua vita è la guerra civile
spagnola. L'anteprima della seconda guerra mondiale lo vide parteggiare immediatamente,
come quasi tutti gli intellettuali dell'epoca, per i repubblicani, e la fucilazione da
parte dei franchisti del poeta Federico Garcia Lorca, che conosceva personalmente, lo
sconvolse profondamente. A seguito della terribile esperienza di quella guerra, la sua
collocazione politica, già rivolta verso ideali di umanitarismo e di fratellanza sociale,
si fece più netta in favore della sinistra e per questo Neruda fu destituito da ogni
incarico governativo e dovette allontanarsi dal Cile. Si rifugiò a Parigi dove pubblicò
la raccolta "Spagna nel cuore" e il "Canto General",
un vasto poema sull'America del Sud. Scriveva: "Il mondo è mutato, la mia poesia
è mutata. Una goccia di sangue caduta tra questi versi rimarrà viva su di essi,
indelebile come l'amore" (dalla prefazione a Le furie e le pene).
Nel 1943, a trentanove anni, Neruda torna in Cile e viene eletto senatore, ma, sempre a
causa delle sue convinzioni politiche, è costretto a vivere per due anni in
clandestinità fino a quando riesce ad emigrare verso l'Europa. Può rientrare in patria
nel 1952 per tornare a Parigi dal 1970 al 1972 come ambasciatore cileno. Nel 1971 gli
viene conferito il Premio Nobel per la letteratura e muore a Santiago il 23 settembre del
1973, all'età di sessantanove anni, immediatamente dopo il colpo di Stato del generale
Pinochet. Postumo è pubblicato un volume di memorie dal titolo "Confesso che
ho vissuto".
Davvero Neruda può dire di aver vissuto! L'ha bruciato una passione divorante per ogni
aspetto della vita: l'amore, la politica,l'amicizia, la morte. Chi vive senza passione non
vive, abita il mondo. Ed è per questo che non credo che l'attuale sia un momento in cui
la sua poesia possa essere apprezzata da molti nel nostro Paese, tanto desideroso di
normalizzazione e di apparenze. I versi di Neruda sono gonfi di uno slancio vitale che
avrebbe incantato Bergson, hanno una forma di esaltazione un poco folle, un impetuoso
entusiasmo che fa dell'autore un romantico puro, ma un romantico della terra, della terra
scavata a forza e concimata dal sangue. A quale corrente lirica può essere assegnata la
sua poesia? Difficile dirlo: come per tutti i veri creativi, Neruda sfugge ad una assoluta
classificazione. Come non sentire l'eco di Garcia Lorca in certi suoi attacchi?
Se non fosse perché i tuoi occhi hanno color di luna,
di giorno con argilla, con lavoro, con fuoco,
e tieni imprigionata l'agilità dell'aria
Risuonano residui di lirici greci con la loro pesantezza/leggerezza di parole:
Parlano i pini con la lor lingua verde:
gorgheggiano tutti gli uccelli dell'inverno.
E naturalmente echi degli ermetici contemporanei come Quasimodo:
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.
E anche:
Brilla la luna sulle acque erranti.
Oppure:
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Ma dove la poesia del cileno si realizza più compiutamente è, a mio
parere, in quella sorta di irrefrenabile vena barocca che fa tornare alla mente le divine
acrobazie di Shakespeare. Il canto sgorga felice con una piena poderosa, mai falsa, mai
voluta. L'opulenza delle immagini e dei suoni stordisce e incanta:
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
Oppure:
Trascorrono giorni uguali che s'inseguono.
La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte, stelle.
O la croce nera di una nave.
Solo.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.
Poeta della vita e della morte. E quindi dell'Eros. La donna occupa il posto centrale
della sua ispirazione. Si riveste di un Eros panico, sublime:
Donna completa, mela carnale, luna calda,
denso aroma d'alghe, fango e luce pestati,
quale oscura chiarità s'apre tra le tue colonne?
Quale antica notte tocca l'uomo con i suoi sensi?
Ahi, amare è un viaggio con acqua e con stelle,
con aria soffocata e brusche tempeste di farina:
amare è un combattimento di lampi
e due corpi da un solo miele sconfitti.
L'ardore diventa incontenibile:
Ho fame della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli.
Il rapporto tra Amore e Vita è solo quantitativo :
Perché
l'amore, mentre la vita ci incalza,
è
semplicemente un'onda alta tra le onde...
L'Amore-Eros preesiste alla creatura, alla donna, è condizione "naturale" del
tutto:
A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle.
Chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.
Anche se è cosa corporea e stupefacente:
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Di sé parla con la sorpresa dell'adolescente, con la compassione
dell'oggetto:
Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Ed anche:
Mia madre mi partorì pieno di domande sottili.
Tu a tutte rispondi.
E il suo sentimento copre la realtà esterna nella quale si fonde e si
confonde:
Poiché tutte le cose son piene della mia anima
per scoprirsi nella sua essenza profonda come essere terragno:
Il mio corpo di rude contadino ti scava
Un momento di celebrità ebbe Pablo Neruda nel nostro distratto Paese, e
fu quando Massimo Troisi pensò di realizzare un film sulla vita di un semplice postino di
paese e di mettere vicino al postino, delicato e pudibondo aspirante poeta, Pablo Neruda
ormai anziano. Il poeta fu magistralmente interpretato da Philippe Noiret che gli
somigliava straordinariamente e quella fu l'occasione perché la nostra gente, che
potrebbe apprezzare la splendente poesia del cileno se solo fosse informata e formata,
seppe che esisteva un poeta dal nome di Pablo Neruda. Il poeta della passione totale.
Cassandrino (Febbraio 2004) Inserisci un commento |