Cassandrino: Quel che il cuore sapeva, di Marta Boneschi
Recensioni di libri - 3


   QUEL CHE IL CUORE SAPEVA


Marta Boneschi - Quel che il cuore sapeva - Giulia Beccaria, i Verri, i Manzoni. Ed. Mondadori - Le Scie - pag. 417 - 2004, 19 euro

Nei Promessi Sposi, il Manzoni, in un certo capitolo, scrive, con un tono inusuale, quasi stizzito: "Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto". Queste parole, da sempre indicate quali indizio della mai perduta mentalità illuministica e positiva del Manzoni, sono state parafrasate nel titolo di questo splendido libro di Marta Boneschi.

Di cosa si tratta? Della storia di tre famiglie eminenti della Milano a cavallo tra il '700 e l'800: I Verri, i Beccaria e i Manzoni. Tutte hanno dato moltissimo al nostro Paese, come si impara dai libri di storia e di letteratura, ma la Boneschi ha trattato l'argomento focalizzando l'aspetto prettamente umano dei personaggi, non mancando di offrire anche una sintesi dell'epoca quanto mai viva e vivace. L'Autrice è riuscita a consegnare alle stampe uno scritto agile, veloce e accattivante, con le vicende di queste famiglie vissute sullo sfondo di un ambiente intellettuale e nobile che fu dapprima libero e brillante poi via via sempre più cupo e reazionario. Un volume fitto di avvenimenti e di "cose" umane, narrate con una scrittura di qualità, grazie alla quale anche chi non si occupa in maniera specifica di letteratura o di storia può sicuramente gustare.

E qui la Boneschi consegue un altro non indifferente merito: l'Autrice non si è esibita in divagazioni estranee al proposito narrativo dello scritto, non è mai scesa ad analizzare o a commentare tecnicamente i saggi giuridici o le poesie o i romanzi dei quali i vari personaggi sono stati gli autori. Ha resistito alla tentazione di dimostrarci esplicitamente che sapeva anche di letteratura, di diritto o di storiografia. È per questo che, al termine della lettura del libro, si ha la sensazione, risultato che credo sia stato molto a cuore alla Boneschi, di avere avuto con le varie persone, delle quali si è seguita la esistenza, un rapporto di conoscenza reale: insomma si ha l'impressione che quei personaggi li abbiamo conosciuti realmente.

Anche Cassandrino ha scritto un romanzo storico e pertanto conosce la fatica improba (ma anche entusiasmante) della ricerca storica: ebbene, nel libro che si presenta, non c'è affermazione che non sia supportata da documentazione adeguata, non c'è fatto che non venga testimoniato da lettere o memorie o ricordi dell'epoca. Tuttavia, la finezza e la accuratezza narrativa della Boneschi non fanno mai sentire il peso della grande massa dei riferimenti bibliografici.

Quanto al contenuto, dapprima sono visitati i Verri, tra i quali giganteggia il conte Pietro, personalità forte e ricca, la più interessante di una famiglia aspra e fortemente conflittuale. Poi i marchesi Beccaria, con quel Cesare, che diviene di colpo famoso in tutta Europa per il saggio Dei Delitti e Delle Pene, ma che resta un essere fragile, sempre bisognoso di appoggi e di angoli nei quali nascondersi. Infine i Manzoni, entrati in scena con il povero don Pietro, padre putativo del nostro grande Alessandro. In mezzo a tutti, Giulia Beccarla, figlia del celebre Cesare, moglie contrattata di Pietro Manzoni e madre di Alessandro, che è figlio di Giovanni Verri, fratello minore di Pietro. In Alessandro Manzoni quindi le varie fila delle famiglie si fanno corda.

Giulia, la titolare ufficiale del libro, è una giovane curiosa, intelligente, brillante come una vera dama ancien régime, ma che la vita, la più parte tormentata, a poco a poco spegne fino a farne una vecchia indurita e ossessionata dalla religione. È una quieta donnina di ferro, la calvinista svizzera Enrichetta Blondel, a portare, nella famiglia Manzoni, in qualità di sposa del figlio Alessandro, il germe distruttivo del fondamentalismo, a seguito della sua conversione al cattolicesimo. Giulia ne è soggiogata e, sotto le pietà impietose dei padri spirituali Eustachio Degola e il canonico Luigi Tosi, inizia pratiche di devozione quasi impossibili da rispettare, fino a rinnegare l'unico suo vero e grande amore, che l'aveva salvata da una vita superficiale e vuota, l'amore per Carlo Imbonati.

Uomo eccellente, dotato di tutte le qualità, l'Imbonati ebbe il torto di non essere il marito di Giulia e di esserle troppo presto premorto. La loro convivenza parigina, in un ambiente colto e liberale, era stata un'oasi felice per Giulia. Anche Alessandro dall'Italia aveva risentito indirettamente dell'influsso positivo che l'uomo esercitava sulla madre, tanto che la morte dell'Imbonati gli aveva ispirato un carme di sincero rimpianto per colui che aveva intravisto come un padre ideale. Ma l'inferno, prospettato dai confessori con devota assiduità alla mente della povera Giulia fece sì che questa, stremata, facesse addirittura togliere il corpo dell'Imbonati, correo nel peccato, dal sepolcro marmoreo che ella stessa aveva fatto erigere, e gettato nella fossa comune.

Ed a fianco di Giulia, il suo venerato figlio Alessandro, fragile come il nonno Cesare (è balbuziente, cade in svenimenti, soffre di convulsioni e di agorafobia, è schivo fino al parossismo, inetto in affari e incapace di gestire la famiglia, perfino svagato genitore), il quale, perso nella sua egoistica sfera di creatività, non contribuisce in alcuna misura a migliorare la vita della amatissima madre Giulia e neppure la vita della amatissima moglie Enrichetta, se è vero che in 25 anni di matrimonio la mette incinta 12 volte, così portandola, assieme ai crudeli salassi e alle diete feroci, prematuramente alla tomba. Per risposarsi subito dopo con grande entusiasmo con una vedova scaltra e piena di senso pratico, anch'essa ovviamente amatissima, Teresa Stampa.

Al termine di questi piccoli trailers, desidero concludere con un interrogativo personale che questo libro mi ha riproposto con vigore. Il mistero assoluto dell'arte. La inspiegabile miscela che conduce alla perfezione. Non so tuttora spiegarmi come un individuo, insopportabilmente querulo, quale era il marchese Cesare Beccaria, abbia potuto, da semplice studioso dilettante, concepire e scrivere un saggio che costituì un punto di svolta nelle politiche criminalistiche dei sovrani dell'epoca e che rimane ancora oggi una pietra miliare nella evoluzione del diritto penale sotto il profilo della sua liberazione dal barbarico e dall'etico. E, di più, come mai un individuo così debole e problematico, così assente da questo mondo, con gli occhi dell'anima rivolti perennemente all'interno di sé, parlo di Alessandro Manzoni, abbia potuto concepire e scrivere un libro immenso come I Promessi Sposi, tanto pieno di poesia, di ironia, di dramma, tanto ricco di sfumature umane, da essere definito, già appena pubblicato, e con ragione, "il più gran libro del mondo". Non so e non saprò mai spiegarmelo. Dobbiamo solo ringraziare il fato che da simili strani individui nascano fiori che riescono a profumarci il duro percorso della vita.

                                                              Cassandrino (Gennaio 2005)

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