Cassandrino: Giovanni Pascoli (1855-2005)
Ricorrenze - 4


  GIOVANNI PASCOLI (1855-2005)


Se si eccettuano i professori di italiano e qualche studente che ha lasciato il liceo da non più di due anni, chi oggi sa chi era Giovanni Pascoli? Ed è un peccato, perché il romagnolo di San Mauro è un personaggio assolutamente interessante e, come artista, assai moderno. Per non dire che è un grande poeta, uno tra i più grandi della nostra letteratura.
Quest'anno ricorre il centocinquantesimo della nascita e sembra giusto cogliere l'occasione per parlare di lui, nella speranza che qualcuno si incuriosisca e continui l'interessamento anche dopo la lettura di queste poche righe. Nato in una famiglia non povera, il padre era Amministratore dei Torlonia e la madre proveniva da una famiglia di nobiltà provinciale, dovette subire da adolescente il colpo tremendo dell'assassinio del proprio padre avvenuto, come è noto, mentre l'uomo tornava a casa sul calesse tirato da una cavallina storna. Questo delitto, rimasto impunito, condizionò totalmente la vita del Pascoli sia dal punto di vista economico sia da quello psicologico, aggravando il suo senso pessimistico dell'esistenza. Con il trascorrere degli anni, tra incertezze del futuro e impegni di studio, riuscì a ricreare in parte il nucleo familiare originario che, dopo la morte della madre, si era frantumato. Poi, con l'affermarsi della sua fama di poeta, la situazione migliorò e il Pascoli giunse a concorrere alla cattedra di italiano presso l'Università di Bologna, dove sottentrò con grande merito al Carducci. Visse gli ultimi anni con la sorella Maria e la sua vita, povera di avvenimenti esterni, si concluse a 57 anni, dopo che il poeta aveva acquistato anche fama internazionale per aver vinto più volte il premio aureo ai Certamina Hoefftiana di Amsterdam, dove si cimentavano, in una composizione poetica in lingua latina, i più grandi latinisti del mondo. Ebbe l'onore di conquistare tredici medaglie d'oro nella prestigiosa competizione olandese.
Poeta delle cose piccole, è stato definito. E una delle sue prime raccolte l'aveva intitolata proprio "Myricae". Ma la modestia dei soggetti cantati non deve trarre in inganno. Sotto le piccole cose ci sono sensi profondi e grandi, c'è una passione struggente per la vita, lontana dalle visioni enfatiche e squillanti della poesia dell'epoca volta, sotto l'impulso di Giosuè Carducci, alla magnificazione dell'antica Roma in relazione ai destini indefettibili della nuova Italia. E non a caso i più sensibili critici hanno ravvisato nella poesia del Pascoli una certa consonanza con l'allora emergente tendenza artistica, prevalentemente francese, di un "impressionismo poetico". Ma si trattava di una sorta di impressionismo assai personale: le sue composizioni, tutte di struttura semplice ma tutt'altro che semplicistica, segnano la nota caratteristica del poeta consistente da una parte in un pessimismo totale, cosmico, irrimediabile e dall'altra in una affettuosità struggente per tutto ciò che è vittima innocente del dolore del mondo. Il suo pessimismo è quieto e terribile, forse più di quello del Leopardi perché meno esplicito e perché non trova consolazione neppure nell'arte come sublimazione del contingente.
Col Pascoli, la poesia italiana muta direzione, si accorge del vivere di tutti i giorni, si fa concreta, non accademica, reale e realistica: ecco la sua modernità. Il rifiuto della magniloquenza, della retorica, lasciata a chi di questa fa mercato, nonché, in positivo, la predilezione per le cose vere, per le passioni nascoste dell'anima, costituiscono il mondo poetico del Pascoli ma anche della nostra epoca, vaccinata da filosofie corrive e relativistiche come l'esistenzialismo o il nominalismo.
Non si contano gli studi critici sulla poesia del Pascoli. C'è chi ha parlato di decadentismo, chi di crepuscolarismo, chi di segni liberty nei suoi versi. Si è giunti perfino a praticare su di essi letture in chiave psicoanalitica.
Ma non è che il Pascoli si arrenda sentimentalmente al suo pessimismo. Sapere impossibile una salvezza, seppure effimera ma benevola, lo porta a piegarsi su accordi di nostalgia, nostalgia di cose domestiche, minimali, di cose passate o addirittura solo sognate. Una Sehnsucht, direbbero i tedeschi. Ed egli si trova così a sopravvanzare il suo caro Carducci e ad essere affiancato da un rumoroso ma affascinante personaggio emergente, Gabriele D'Annunzio. Questi, che, nonostante la abissale differenza di personalità, apprezza e loda sinceramente il Pascoli, procede sulla sua stessa strada, la strada del rinnovamento formale del linguaggio, della apertura ad esperienze poetiche europee, in particolare francesi, la strada del ripudio - per il romagnolo senza chiasso - della subordinazione agli schemi della cosiddetta classicità. In lui i Poemi diventano Poemetti.
Pascoli è un poeta che si ama. È il poeta che più si ama e più si comprende a mano a mano che l'età di chi legge avanza. Ci sono, nella sua attenta osservazione della natura e degli uomini, cenni significanti che si nascondono nella semplicità, incredibilmente colta e selettiva, del suo sussurrare. Un anelito disperato di fratellanza spira dai suoi versi, che ci toccano, diretti e scarni, come in un intimo colloquio di anime. Alcune sue figure rimangono nella memoria in maniera indelebile, perché non giungono solo all'intelletto. Chi, ricordandosi del Pascoli, può dimenticare il piccolo Valentino? O la neve che fiocca mentre la zana dondola e il bimbo si addormenta in un nirvana bianco e definitivo che tutti in qualche modo sogniamo? O le ciaramelle della vigilia di Natale come suoni fluttuanti in un mondo incantato? O l'aquilone che si alza nel vento davanti alla "azzurra vision di San Marino"? O, infine, quella cavallina storna che fu testimone dell'uccisione del padre e che si vorrebbe parlasse ma che non può? E cento altre figure che provengono dal cuore e che ti giungono al cuore con la crudele abilità dell'artista. Noi che siamo condannati a vivere in "quest'atomo opaco del male", come faremmo a proseguire nella vita se non ci fossero le piccole e buone cose che racchiudono grani di felicità rubata al destino?
Grande, la poesia del Pascoli. È sufficiente ricordare i titoli di due autentici capolavori: "Paolo Uccello" e "X Agosto".
E quanto moderna, anche formalmente, è la poesia del Pascoli! Come la scelta del "frammento", luminoso e illuminante, talora anche all'interno di una composizione più ampia. A volte, si ha addirittura l'impressione dei versi di un Montale, scabri e trasognati, come in "Addio!", un saluto alle rondini che vanno:

È finita qui la rossa estate.
Appassisce l'orto: i miei gerani
più non hanno che i becchi di gru.
………………
su quest'albe, dalle vostre altane,
quando ascolto voi parlar tra voi
nella vostra lingua di gitane…

Perfino in alcuni titoli si scopre la sorprendente modernità del poeta, come la raccolta "Gli emigranti nella luna"
Pessimismo non è sentimento: è consapevolezza. Ma in Pascoli, il pessimismo si fa sentimento, commozione. Così, lo sguardo triste sul cimitero nel giorno dei morti:

o camposanto che sì crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
oggi ti vedo tutto sempiterni
e crisantemi.

Con lui non più certezze vittoriose nella poesia:

Nella prona terra
troppo è il mistero

E il mistero più grande si materializza come in un quadro di Gherardo delle Notti:

quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini
la Morte con la sua lampada accesa.

Tutto prende una misteriosa forma umana, tutto ritorna all'uomo, lo sconosciuto che non può impedirsi di sfogliare il libro della vita:

E l'uomo non vedo io: lo sento,
invisibile, là, come il pensiero...

In questa levità pungente, il mondo che ci circonda è guardato con gli occhi sempre vividi e appassionati del "fanciullino" che sopravvive dentro il poeta. Ecco una "Siepe" che

fuori,

dici un divieto acuto come spine;
dentro, un assenso bello come fiori;
siepe forte ad altrui, siepe a me pia,
come la fede che donai con gli ori

Ecco le campane ancora fervide di suono nella notte

Ogni campana prese
poi sonno in una lunga ansia di bronzo.

O la visione in campo lungo:

Erano i monti
tutti celesti; tutto era imbevuto
di cielo: erba di poggi, acqua di fonti,
……………
e con le sue foreste
il monte Gragno molle di velluto…
………………
E l'uva ingrossa, e invaia
i chicchi già. La canapa è nel fiume.

Un mondo di cose belle, vere e toccanti ci attende quando apriamo una raccolta di poesie del Pascoli. Non perdiamo questa occasione: siamo davanti ad un grande poeta che ci parla di sè, e anche di noi. E ci consola.


                                                              Cassandrino (Febbraio 2005)

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