Cassandrino: ELEAZAR ovvero La sorgente e il roveto, di Michel Tournier
Recensioni di libri - 4


   ELEAZAR


Michel Tournier - ELEAZAR ovvero La sorgente e il roveto, Garzanti, 1997, pagg. 99, Euro 11,00

L'editore proclama nel secondo risvolto: "Michel Tournier è considerato il massimo scrittore vivente francese". Ed in effetti già nel 1970 Tournier vinse il prestigioso premio Goncourt, con il romanzo Il Re degli Ontani. Sennonché in questo esile romanzo, dalla copertina quanto mai elegante e raffinata, il Tournier ci lascia assai perplessi. Non mancano, è vero, quattro o cinque lampi che rivelano il talento indiscutibile dell'Autore, ma...
Si tratta della storia, ambientata nella prima metà del 1800, di un giovane irlandese, Eleazar - il cui nome dà il titolo al libro - il quale, da pastore di pecore si fa pastore di anime e quindi pastore protestante ma con uno sguardo tenero verso il cattolicesimo. Per lui la Bibbia è troppo dura rispetto al Vangelo. Il pastore di anime si sposa con una cattolica zoppa, Esther, ha due figli, Beniamino e Coralie, ed è infine costretto ad emigrare verso le Americhe per porre rimedio ad una situazione di povertà insostenibile. In America, Eleazar vuole condurre la famiglia, su carri tendati, verso una terra lontana che - per ispirazione personale - sente come una terra promessa, la California. Tuttavia, dopo un viaggio lunghissimo, trascinato tra mille pericoli e sfinimenti, Eleazar non raggiungerà la California. Si tratta, come si vede e come vuole l'Autore (vedi il sottotitolo "ovvero La sorgente e il roveto"), di una parafrasi della storia di Mosè che vuol portare, tra mille peripezie, il suo popolo nella terra di Canaan, dove lui però non riesce ad entrare.
Ebbene, proprio questo "voler dimostrare" è la caratteristica più negativa del libretto. La dimostrazione infatti non sorge spontanea nel lettore, ma viene continuamente ricordata dall'Autore, con citazioni e raffronti di ogni tipo. In breve, i personaggi non diventano persone, ma restano personaggi che servono all'Autore per "dimostrare". In essi non c'è vita, ma simbologia, non ci sono dolori, ma stupori, non ci sono sentimenti, ma predestinazioni. Sono disegni senza ombreggiature, piatti e stilizzati. L'esempio più eclatante di questa scarsa riuscita del racconto è dato dal personaggio della figlia Coralie che, fin dall'età di cinque o sei anni, parla come un libro stampato, con una saggezza che lascia storditi o increduli. Parla gnomico e mette in imbarazzo il colto genitore con delle riflessioni che sono bellissime se scritte da Tournier, ma che suonano false se pronunciate dalla piccola Coralie. C'è, nello scritto, la costante preoccupazione di far corrispondere ogni avvenimento della vita di Eleazar e della sua famiglia, ad un avvenimento biblico, e questo dà la sensazione di una fredda operazione prefabbricata. Peccato. Una prova ambiziosa che non ha retto alla prova dei fatti. Scrivere a tema o per dimostrare, senza che i personaggi diventino esseri umani, non porta a grandi risultati. Uno scrittore come Tournier poteva risparmiarselo e risparmiacelo.

                                                              Cassandrino (Marzo 2005)

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