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Mi fecero fare dei corsi di addestramento dai quali uscii con un piccolo
fulmine cucito sul risvolto della giacca; su un lato e sull'altro del fulmine c'erano le
lettere C.I.: Corporate Identity. Intanto continuavo ostinatamente a respingere le
profferte d'amore di Colgate. Con mio stesso stupore, mi ritrovai invece ad avere una
relazione con Marilinda.
Scoprii che abitava in un miniappartamento vicino al mio, a Memotown, il quartiere degli impiegati. È una regola non scritta quella che una segretaria debba finire a letto con il suo principale. Era bastato chiacchierare un po' con lei, quel giorno, perché si decidesse a prendere l'iniziativa: mi invitò a casa sua. Mi accolse in tunica. Entrando con una bottiglia di Erbaluce sottobraccio, reputai che quello fosse un indumento ideale per i suoi lineamenti delicati e le sue forme prosperose. Stappai la bottiglia con una certa violenza, quasi a dimostrare la mia mascolinità. Mentre sorseggiavamo il passito di lusso, lei mi narrò: «Ho lavorato come segretaria in diversi uffici ma ogni volta mi licenziavano perché avevo la cattiva abitudine di rispondere a tono alle persone Soltanto alla Kosmos ho trovato la mia giusta dimensione.» «Allora sei contenta del lavoro. Mi fa piacere.» Mutò repentinamente espressione. «Contenta? Guarda che non è proprio belo belo. Per rimanere a galla in questa ditta bisogna essere veramente dei grossi bastardi.» La guardai compiaciuto. Che tono! Che sincerità! «Vuoi dire che...?» «Conosci Helma? No? Siede al desk del piano sopra al nostro. Assomiglia a quella biondona che in tivù presenta "Il Lotto alle otto". No? Possibile? Eppure devi averla già vista! Una come Helma non si può non notare... Ebbene: è la mia nemica per la pelle! Non fa che muovere critiche ai colleghi... e alle colleghe. Dà pugnalate alle spalle e poi, quando ti vede lì a terra che stai crepando, gioca a fare la consolatrice, addirittura la buona amica. Comunque, è una che riesce porsi sempre in primo piano. Possiede le qualità di chi vuol farsi notare... Helma "Fai-Un-Caffè" Eriksson: così la chiamano.» Capii che, in fondo, Marilinda non odiava quella Helma, e che per lei era anzi un idolo. Entrambe erano bionde, ed essere bionde è uno scotto da pagare. Bisogna essere cattive, bisogna mettersi in luce, altrimenti ti chiamano "stupidina", per non dir peggio. «Scusa la mia curiosità: come passi il tuo tempo libero?» «Oh. "Just catting around"», mi rivelò senza inibizioni di sorta. "Catting around": significa che girellava senza meta, accoppiandosi occasionalmente con persone dell'altro sesso e (ci avrei scommesso l'osso del collo) con persone del proprio. «Frequenti i colleghi?» «Oh, sì!» esclamò lei, sgranando gli occhi come una fanciulla. Vidi in quelle pupille la tempesta di vivere che sicuramente caratterizzava tutti i suoi giorni. Ma in ditta aveva imparato a mantenersi sulle sue: very professional. «Sì», ripeté. «Di solito ci incontriamo all'Aloha Club.» «A-ah. Un bar?» «Diciamo piuttosto: una event location.» L'Aloha Club: mi sembrava di vederlo. Un locale che con le Hawaii aveva poco o niente da spartire. Arredamento di bambù, questo sì, ma suoni psycho, punk, indipendent. «Disponiamo di impianti sportivi», continuò, «e qualche volta si balla. È praticamente il nostro club.» «Nostro di chi? Voglio dire: con chi ti incontri? Con quelli della Fase Uno?» Scoppiò in una risata rauca. «Scherzi!» Avevo capito bene: frequentava unicamente uomini molto in alto; e le loro segretarie. Ma quella sera si trovava insieme a Pat Ferroni... Osservai affascinato le sue labbra piene, ben disegnate, mentre scolava con golosità il passito; poi le poggiai una mano su una coscia. Si volse e sorrise comprensiva. «Sì», cinguettò. «Sì?» «Sì. Ma deve rimanere tra noi. E, soprattutto, deve rimanere una cosa così. Un gioco. Qualcosa da fare e poi da dimenticare.» Pronuncò queste parole con l'aria di una bambina discola. «Sai com'è in ditta: il sesso sì. Il sesso è ammesso. L'amore no. È abrogato. Quasi un reato.» «Giuro che non mi innamorerò di te!» esclamai solennemente. A questo punto, come se rassicurata da quella mia assurda dichiarazione, si sollevò e si sfilò la tunica. Sotto indossava soltanto un perizoma. A bocca aperta ammirai quel tripudio di curve. Mi alzai e la strinsi forte. Poi barcollammo verso l'alcova. Fu un'esperienza indimenticabile, almeno per il sottoscritto. Provai un'infinita goduria su quel letto morbido e caldo anche se di marmo. Dopo cercai di appisolarmi, ma permaneva in me il disagio che ormai mi portavo appresso come una maledizione. Mentre Marilinda veleggiava nel mondo dei sogni, io stavo a chiedermi se non ci fossero lì attorno delle telecamere nascoste... |
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